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La vita allo SPRAR di Iglesias

A cura di Luca Mirarchi

Intervista a Fernando Schirru, coordinatore della struttura SPRAR (SIPROIMI) dal primo gennaio 2019.

Ci parli del progetto SPRAR.
«Lo SPRAR si proponeva di offrire misure di assistenza e di protezione al singolo beneficiario, favorendo e facilitando il percorso di integrazione, fornendo gli strumenti e le competenze necessari a divenire cittadini consapevoli e autonomi. L’acronimo SPRAR stava a significare Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (ovvero titolari di protezione internazionale). Dopo l’entrata in vigore del Decreto Salvini sulla sicurezza, gli SPRAR, dal dicembre 2018, assumono la denominazione di SIPROIMI (Sistema di Protezione per titolari di Protezione Internazionale e per Minori stranieri non accompagnati): un cambiamento che esclude così dal programma di protezione i richiedenti asilo.

Come si è declinato a Iglesias?
«A Iglesias il progetto, triennale, attivo dal 2016, è attualmente in fase di rinnovamento. L’Associazione Casa Emmaus Impresa Sociale si qualifica come ente attuatore, mentre il Comune di Iglesias è l’ente gestore. La nostra struttura comprende 4 appartamenti ad Iglesias, situati in via Pasteur e via Sant’Antonio. Abbiamo a disposizione 20 posti letto e ospitiamo al presente 21 persone (la persona in più non incide sul budget ed è presente per non spezzare un nucleo familiare). La struttura è infatti pensata per accogliere donne, donne con bambini e nuclei familiari. Dei ventuno ospiti 18 arrivano dalla Siria e 3 dal Camerun (rimarranno sotto protezione umanitaria fino ad esaurimento del loro progetto). In tutti i casi si tratta di rifugiati con protezione internazionale di cinque anni rinnovabile, che permette a pieno titolo di risiedere nei paesi che sottoscrivono la convenzione».

Qual è la vostra organizzazione interna?
«Siamo una delle poche strutture a pieno regime in Sardegna, l’obiettivo è sviluppare le autonomie e favorire l’autodeterminazione dei beneficiari. Monitoriamo tutti i passaggi attraverso un’équipe — composta da uno psicoterapeuta, due mediatori (in inglese, francese e arabo), un’assistente sociale e il coordinatore — che assiste il beneficiario nelle rispettive aree di competenza: mediazione linguistico-culturale; accoglienza materiale; orientamento e accesso ai servizi del territorio; istruzione, formazione e riqualificazione professionale; orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo, abitativo, sociale e legale; tutela psico-socio-sanitaria».

Come si sviluppa il progetto?
«All’accoglienza viene consegnato il regolamento nelle varie lingue interessate, viene presentata l’équipe, che attraverso i colloqui beneficiari — con assistenti sociali, terapeuti ed educatori — e le riunioni settimanali, piano piano mette a punto un progetto personalizzato di presa in carico, in base alle caratteristiche individuali e al bilancio di competenze (valutazione competenza linguistica, CV, punti di forza e criticità). Il progetto dura sei mesi, con la possibilità di un’ulteriore proroga volta al completamento dello stesso. Gli obiettivi sono a medio e lungo termine, rimodulati di volta in volta. Un paio di mesi sono necessari per entrare a pieno regime».

Andando più nel concreto?
«Per prima cosa si traccia un profilo del beneficiario. Prendiamo ad esempio un migrante camerunese che parla italiano, arabo e francese, e faceva già la guida nel suo paese di origine: sta svolgendo il tirocinio al Centro turistico del Comune di Iglesias. Inutile proporre attività che non possono essere portate avanti, magari per scarse competenze linguistiche. I progetti di tirocinio sono infatti volti all’inserimento lavorativo, con un processo di affiancamento che non ha niente di assistenzialistico, ma è solo una preparazione all’autonomia. Diamo ad esempio un elenco di aziende di tutta la zona, li aiutiamo a inviare CV e facciamo facciamo prove simulate dei colloqui di lavoro. Una volta che hanno finito con lo SPRAR si conclude il percorso di accoglienza».

Come si realizza l’integrazione nel tessuto cittadino?
«Favoriamo attività socializzanti per tutti i bambini, come la scuola, l’asilo, gli scout, il doposcuola, lo sport, le colonie estive. Per gli adulti soprattutto palestra e calcio (oltre ai corsi obbligatori di preparazione linguistica). Curiamo anche periodicamente eventi di sensibilizzazione con la cittadinanza, come in occasione della Giornata mondiale migrante, con “C’era una volta in Siria” in Sala Remo Branca, un monologo realizzato sulla base delle testimonianze dei migranti e portato in scena da Elio Turno Arthemalle».

Qual è la difficoltà maggiore che avete affrontato?
«La condizione socioeconomica del territorio, che limita molto le possibilità di inserimento lavorativo (anche se si registra un miglioramento negli ultimi mesi). La cittadinanza si sta dimostrando progressivamente più accogliente. Va anche detto che il numero dei migranti è fortemente diminuito. Da ottobre 2016 non si riscontrano problemi di ordine legale dei ragazzi, dai Minori al CAS allo SPRAR (legato alla possibilità di accoglienza con poche persone e così strutturato). E non dimentichiamo la ricaduta economica legata all’indotto».

Se dovesse tracciare un bilancio?
«Sarebbe molto positivo, lo Sprar italiano (nato dalla legge Bossi-Fini) è un sistema che funziona; è breve, ha risorse che devono essere riscontrate con precisione, grazie a un servizio centrale di verifica molto presente. Rappresenta un modello studiato in diversi paesi europei. E non dimentichiamo l’indotto economico per la zona».

Cosa si potrebbe migliorare?
«Da migliorare: bisogna lavorare sempre più sull’integrazione e favorire l’inclusione nelle fasi di svincolo. Indispensabile che i beneficiari siano disponibili, spesso con nuclei familiari le cose filano più lisce».